Kristina Jacobsen, cantautrice, antropologa ed etnomusicologa presso l’Università del New Mexico (UNM) di Albuquerque, è nata in Massachusetts, ma ha vissuto vent’anni come ospite in una riserva Navajo occupandosi di musica, cultura popolare e tradizioni degli Indiani d’America. Conquistata dalla ricchezza della cultura della Sardegna, dove si é trasferita, ha vissuto tra Santu Lussurgiu, nel Montiferru – dove ha scritto i testi delle sue canzoni in collaborazione con autori e musicisti della zona – e Cagliari dove ha ricoperto la cattedra di Etnomusicologia come Visiting Professor presso l’Università di Cagliari. Nel New Mexico, insegna antropologia e composizione di canzoni e guida la band country di sole donne The Merlettes; è anche fondatrice del gruppo studentesco UNM Honky Tonk Ensemble. “House on Swallow Street”, che uscirà il 15 febbraio 2021 per la label sarda Talk About Records, è il suo quarto disco.

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L’album è una meditazione sul suono, la lingua e il luogo, che ripercorre l’esperienza e le connessioni fatte dalla cantante durante il suo anno di vita in Sardegna, mentre approfondiva la vita socio-culturale dell’isola. La prima canzone, “Terra po Approdare”, inizia con una registrazione delle rondini nella stradina fuori casa sua: è un’intima canzone acustica che descrive la sensazione di vivere da soli in una grande casa di pietra, nel paese sardo dove ha vissuto durante la sua ricerca. Scritta con la sua insegnante di lingua sarda, Franzisca Manca, la canzone genera poi quella che è la traccia numero due, “These Cobblestone Streets”. Con voce, contrabbasso e la chitarra solista del chitarrista Ignazio Cadeddu, la canzone riflette sulle sfide e sullo “shock culturale” di chi si trova per la prima volta immerso in una nuova cultura, in un nuovo linguaggio e deve anche fare i conti con una nuova burocrazia. “Tiria”, scritto con Matteo “Baro” Papperi in lingua sarda, è una canzone bluegrass allegra, che ricorda la vita e il paese natale della nonna materna, caratterizzata dalla voce sonora e cavernosa di Papperi. “Sardinian Welcome”, scritta con Sebastiano Dessanay, è una meditazione allegra sulla vita delle feste sarde e sul desiderio di appartenere entrambi a un piccolo luogo rurale ma anche di cercare il proprio sé altrove. “Reckoning” è un blues scritto con il chitarrista e cantante blues sardo Matteo Leone, che racconta la storia di un piccolo villaggio di pescatori. Il brano successivo dell’album, scritto nella città di Sassari con il cantautore Giuseppe Bulla, presenta la voce di Bulla che racconta la squisita libertà trovata “On a Rooftop” in un’afosa calda estate sassarese; la traccia mette in risalto uno stile di canto che ricorda quello tradizionale sardo, percussioni a mano e fraseggi di chitarra di ispirazione irlandese e sarda. Le tracce 7-10 (“Santi Sardi”, “I Don’t Wanna Smile”, “Six Seconds” e “Maison Dancer”) spostano l’attenzione sul canto di Kristina Jacobsen e presentano canzoni “country” americane originali scritte in inglese che sono state “tradotte” linguisticamente e musicalmente per il contesto sardo. Con voce, chitarra acustica, chitarra sarda, fisarmonica e contrabbasso, le canzoni mostrano l’incredibile diversità linguistica dell’isola. “Semus Torrande” è l’ultimo co-write presente nell’album, scritto e suonato insieme a The Heart and The Void, e racconta la storia dell’emigrazione sarda per trovare lavoro e la chiamata per tornare in Sardegna. La hidden track finale, contiene una delle prime canzoni apprese in Sardegna dalla Jacobsen, una composizione proveniente da Sassari intitolata “Carraioru di Ruseddu” (scritta da Gavino Soro e Raimondo Sanna) dedicata alla bellissima Fontana di Rosello.

Kristina Jacobsen dal vivo a VULCANI

Tocchi sonori di country e musica di tradizione orale americana e sarda sono le maggiori influenze in “House on Swallow Street”, influenze profondamente scandagliate e poi avvolte da una quiete apparente e da un senso di intimità che emana dalle sue ampie melodie. Scritto e registrato mentre viveva in Sardegna e con la partecipazione di molti scrittori e musicisti sardi, l’album è un esperimento di collaborazione musicale e di creazione del mondo (“worldmaking”) tramite le canzoni. I brani, eseguiti in inglese, italiano e sardo, si concentrano su cosa significhi appartenere a un luogo, trovare “casa” e tornare nei luoghi da cui siamo scappati da bambini.
La songwriter americana canta le sue canzoni con un leggiadro yodeling che può scaldare il cuore, gridare di rabbia o festeggiare giorni migliori con lo stesso fervore. I suoi viaggi, il South West e la riserva Navajo, passando dalla Norvegia fino alla Sardegna, risuonano in ogni nota della sua chitarra in un melting pot pregno di cultura e condivisione.

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